“Questione cattolica”: nelle liste non per gentile concessione

Romano Prodi, per lui i partiti dovrebbero
dare più spazio ai cattolici

Nel suo intervento di ieri sul “Corriere della Sera” Romano Prodi, coerentemente con il suo passato, aderisce all’idea che i partiti debbano “dare spazio ai cattolici”, con l’unica variante rispetto alla precedenti occasioni che – così sostiene l’ex-premier – questo spazio sia aumentato. E’ la conferma di una teoria di partecipazione  dei cattolici alla politica che tuttavia, nonostante l’autorevolezza e la provata integrità di chi la sostiene, non esaurisce quella che continua a riproporsi come “questione cattolica”.

Inutile perdersi nei ragionamenti riguardanti l’unità dei cattolici che ormai appartiene al passato remoto; quando cioè la società nel suo insieme poteva dirsi se non cristiana, certamente si, fortemente influenzata dalla religione e dagli insegnamenti della Chiesa. Uniti o divisi, la questione del come stare in politica, resta per i cattolici un nodo da rimettere a tema nuovamente in una sorta di periodica ripetitività di una “questione” che, non appena sembra risolta, subito, invece, è da discutere ripartendo da zero.

Questo aspetto è stato già affrontato in  altri post di questo blog con l’indicazione di questa soluzione (tutta da verificare e, comunque, provvisoria come sempre sono le proposte politiche): ferma restando l’opzione generale per il centro-sinistra o se si preferisce per la sinistra democratica, l’idea da sperimentare è quella di starci in modo organizzato e non antagonistico alle forze maggioritarie.

L’intento prevalente è quello della costruzione comune dei programmi politici e della gestione condivisa della linea politica (in questo momento e finché c’è) del Partito Democratico. Laicamente, cioè senza pregiudizi e senza la volontà, palese o nascosta, di imporre un pensiero contro la volontà degli altri. Ma allo stesso tempo, e proprio per questo, senza alcun timore reverenziale per formulare nelle occasioni opportune quelle idee derivanti dalla sensibilità sociale e culturale diffusa tra i credenti (ad esempio, la scelta preferenziale per i più deboli, le possibili scelte in favore della famiglia e della vita, la valorizzazione della libertà religiosa, ma più in generale una visione di evoluzione sociale in chiave umanistica e non mercantile) sia in derivazione degli insegnamenti evangelici, sia di quelli del magistero della Chiesa.

Non con la pretesa di una loro applicazione meccanica e aprioristica, ma prima incarnandoli nella vita, quindi verificandone la spendibilità pubblica in una attenta e scrupolosa mediazione culturale; assumendo così interamente e laicamente la responsabilità delle scelte che in questo modo sono solo politiche e non coinvolgono (o compromettono) la Chiesa e in alcun modo la libertà di tutti i credenti.

Un chiarimento e un esempio finale. Organizzati perchè? E come? Il disastroso insuccesso delle primarie parlamentari a Roma (senza considerare l’esito altrettanto negativo di Bachelet alle primarie per la segreteria regionale e di Monticone alle politiche del ’92) sono la diretta conseguenza di una ingiustificabile disorganizzazione. Occorre, dunque, evitare che in futuro si ricada nel medesimo errore. E questo a conferma del limite di quanto sostenuto da Romano Prodi nel suo articolo di ieri sul “Corriere”, e cioè che i posti ai “cattolici” (dicitura da cancellare per sempre dal vocabolario politico) vanno “dati”. No i “popolari” (questo dovrebbe essere la denominazione di questa componente del Pd) il posto se lo coqnuistano da soli con i voti dei propri militanti e simpatizzanti. Non che oggi questi ultimi non esistano, ma manca l’organizzazione per raggiungerli e coinvolgerli ed è, appunto, quello che adesso si dovrebbe fare.

L’esempio viene dall’estero; dalla marcia di Parigi contro la proposta di Hollande di istituire il matrimonio per le coppie gay. Io dico che quella marcia è stata giustissima e lo sostengo non per contestare il Pd (che, peraltro, non ha proposto nulla di simile), ma per rendere palese l’anima “popolare” che c’è nel Pd e che finora – anche a motivo dei posti in Parlamento “regalati” – non ha avuto la forza o il coraggio civile di svelarsi per quello che è (o dovrebbe essere). Con danno, non solo al dovere di coerenza obbligatorio per chi è impegnato in politica (come chiaramente esortava ad essere la nota dottrinale di Ratzinger del 2002), ma anche a quel necessario processo di contaminazione culturale che – anche grazie agli imbarazzati o opportunistici silenzi dei “popolari” – è rimasta per adesso senza alcuna seguito concreto.

2 commenti

  1. Il tuo post mi piace molto. Credo fotografi molto bene la realtà di quelli che sono i ruderi della cultura “popolare” e penso sia estremamente corretto in questo momento lavorare per una rilettura e rivitalizzazione di quella tradizione, non per ben poco lungimiranti ragioni correntizie bensì per partecipare attivamente a questa fase, che tanto abbiamo aspettato, di contaminazione reciproca delle culture politiche.

    Senza entrare nel merito dell’argomento “matrimonio per le coppie omosessuali” credo che l’esempio che porti sia sbagliato o piuttosto non consequenziale alle riflessioni, secondo me giuste, che fai. L’esempio secondo me è sbagliato per due motivi:

    1) stando qui in Francia ho potuto osservare che la questione qui è vissuta tutt’altro che laicamente;

    2) l’esempio che porti è, secondo me, la classica “tematica ghetto”. Si possono avere le idee più disparate in materia, non credo che siano i temi etici quelli su cui rifondare una cultura politica “popolare” adatta alle sensibilità odierne. Ci sono temi sui quali possiamo dire cose più interessanti. Ci sono temi che ci interessano di più.

    • Sono d’accordo col primo commento pervenuto. I temi su cui la cultura “dei Popolari” puo’ dire molto sono di vasto respiro, nella societa’ di oggi, non soltanto a livello etico. In generale, sui temi sensibili , credo che si debba adottare (non sottovalutandoli, naturalmente) la visione completamente laica di persone come Alcide De Gasperi


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