Questione cattolica 2. Come partecipare alla sinistra?

I bambini africani ci ricordano le molte risposte
che non abbiamo dato al futuro di quel continente

Giustamente, soprattutto i giovani più avvertiti, guardano con un po’ di perplessità gli sforzi, compresi quelli di questa piccolissima tribuna, di riflettere su una presenza organizzata di cattolici nella politica dell sinistra democratica. Essi vedono questa operazione più come una divisione, che non – come essa vorrebbe essere – un modo responsabile e consapevole di aderire portando qualcosa di originale e, direi, di unico.

Non è facile definire il contenuto che vorremmo condividere con i compagni di questa nuova avventura politica (perché di questo si tratta), però vorrei che cominciassimo a farlo. L’ambito è quello che può essere deciso e condiviso al di fuori del “foro interno” della coscienza di ciascuno. E cioè tutte le questioni che abitano i territori dell’opinabile, lasciando, appunto, alla coscienza dei singoli le decisioni ultime che toccano direttamente la coscienza di chi è chiamato a decidere. Temi anche questi interessanti, ma che inevitabilmente rinviano alla casistica morale nella quale la politica entra soltanto per alcune questioni di eccezionale ed evidente rilievo etico come, al di là dei noti problemi della bioetica e altie riguardanti la famiglia e la vita, potrebbe essere ad esempio dover decidere l’entrata in una guerra o qualche azione fortemente manomissoria dell’ordine della natura e dei diritti dei popoli.

Fino ad oggi i cattolici democratici (che io vorrei considerare come i partecipanti del nuovo soggetto definito “i popolari”), sono andati avanti con i valori derivanti dall’ispirazione cristiana, senza però mai essersi presi la briga di declinarli nelle questioni concrete. In altre parole quel riferimento generico che al tempo dello scontro ideologico definiva bene o male un ambito culturale di riconoscimento più o meno intensamente identitario, adesso va almeno riformulato alla luce della nuova situazione sociale e culturale della modernità (o post-modernità secondo alcuni).

Il nuovo muro che divide il mondo oggi è quello che separa i bisogni dell’uomo dai centri di produzione della ricchezza e dei beni. E questo muro ha un nome apparentemente innocente: i mercati. Il discrimine non è, dunque, la giustizia, ma l’interesse (ovviamente) del più forte. Su questa materia, peraltro, c’è da consultare molto magistero sociale della Chiesa anche se non è l’unica fonte. Anzi ci sono molte altre dottrine da cosnultare, studiare e con le quali mettere a confronto, dati, prospettive e opinioni. In nome di che cosa? In nome di una comune visione dell’uomo da definirsi partendo dall’incontro delle culture politiche che oggi condividono l’idea che le leggi non le fanno i mercati, ma la libera volontà dei popoli; cioè la democrazia.

Sono certo che nella sinistra, benché molti in essa si siano dati un certo abito di efficienza tecnocratica, c’è ancora una grande disponibilità per questo confronto. Non credo, infatti, che i movimenti di così grande portata storica che l’hanno generata, si siano del tutto inariditi e possano appagarsi solo con qualche ministero da gestire per i prossimi anni.

Ovviamente gli argomenti di questo confronto sono numerosissimi e, soprattutto, da mettere a tema al di là della contingenza del momento per cogliere quegli aspetti di fodto che poi determinano la qualità delle scelte future. Giustizia, lavoro, impresa, sviluppo sostenibile, cooperazione e sostegno ai paesi terzi, l’accesso ai beni naturali e la tutela dell’ambiente, l’acqua, l’Africa, la pace etc. tutti argomenti sui quali si può e si dovrà costruire non un programma di governo, ma una cultura politica capace di essere riconosciuta anche da chi oggi non vede nulla al di là dell’orizzonte dei mercati.

Insomma c’è un lavoro comune da cominciare. Meglio se già nelle prossime settimane riuscissimo insieme a vincere queste elezioni politiche e, dunque, a governare il Paese.

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